Un interessante approfondimento riguardo la situazione dell’occupazione lavorativa femminile in Italia

Un recente documento a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali (1) fornisce un interessante approfondimento riguardo la situazione dell’occupazione lavorativa femminile in Italia, raffrontata alla situazione Europea, con particolare riguardo al cosiddetto gender gap.

I dati del mercato riportano segnali contrastanti: se da un lato si evidenzia un tasso di occupazione femminile in crescita, dall’altro permangono forti criticità quali il gap salariale, una maggiore difficoltà ad occupare posizioni apicali all’interno delle aziende e una forte propensione ad abbandonare il proprio lavoro, o anche a rinunciare a cercarlo, per via del peso delle responsabilità familiari.

La difficoltà per le donne italiane di conciliare lavoro e vita privata rimane un forte elemento discriminante anche rispetto alla situazione Europea.

Riporto di seguito un estratto del documento.

 

“La gestione del tempo di lavoro e la necessità di conciliarlo con la vita privata, per una donna, possono essere fattori anche notevolmente discriminanti, dal momento che possono influenzare le scelte occupazionali sia in maniera diretta che indiretta e trasformarsi in una vera e propria barriera all’entrata. A essere direttamente determinante nelle scelte occupazionali per una donna vi è sicuramente la necessità di occuparsi dei figli, di adulti non autosufficienti e altre responsabilità afferenti all’ambito della cura all’interno della propria famiglia. Con riferimento agli ultimi 10 anni risultano infatti numerose, rispetto alla media europea, le donne italiane che, in ragione di responsabilità familiari e cura di figli o familiari non autosufficienti, rinunciano a cercare lavoro e risultano pertanto inattive.

Nel 2017 le responsabilità familiari hanno “costretto” a non lavorare l’11,7% delle donne italiane, un valore lievemente superiore a quello registrato l’anno precedente (11,2%) e di tre punti percentuali maggiore rispetto al dato medio europeo. Similmente, l’attività specifica della cura dei figli o dei componenti non autosufficienti della famiglia ha reso inattivo il 6,9% delle donne italiane nel 2017 e il 6,7% nel 2016, valori più contenuti dell’8,3% del 2007, ma comunque superiori rispetto al 4,9% della media dei Paesi europei.”

 

Posso pertanto ritenermi soddisfatta del fatto che, nel corso della mia vita lavorativa, io abbia sempre potuto usufruire della tecnologia “amica” e di quello che oggi viene definito Smart Working e non abbia invece contribuito ad aumentare la percentuale di abbandono femminile del mondo del lavoro.

E a proposito di smart working molto bello ed interessante il contributo di Laura Tucci dal titolo “Smart working….davvero pronti ad incontrare il futuro?” all’interno del Quaderno “Lavoro e lavoratori/trici smart” a cura della Fondazione Marco Vigorelli (2) di cui riporto uno stralcio

“…mi piace cogliere il segno di ciò che lo smart working comporterà in termini di crescita delle persone.

Il capo non è più accanto a chi lavora, lo spazio non è più dato e non è quello quotidianamente condiviso

con i colleghi, le comunicazioni diventano per lo più digitali, il confine tra vita professionale e vita privata

non è tracciato, il tempo non è scandito dal consueto e prefissato orario lavorativo, l’azienda non è necessariamente un luogo, ma una “rete” di persone virtualmente organizzate intorno ad un risultato.

Un grande cambiamento, effetto dell’evoluzione che l’uomo sta vivendo nel suo percorso di crescita e, a

sua volta, leva stessa di questo cambiamento, di cui è difficile immaginare la forma in tutti i suoi contorni.

Sono però profondamente convinta che lo smart working porterà una trasformazione molto positiva,

aumentando la qualità delle relazioni, promuovendo un elevato senso di identificazione con l’azienda, facilitando un processo di empowerment accelerato rispetto a qualsiasi altra leva formativa, sviluppando

competenze quali creatività e innovazione, differentemente così pronte ad emergere.”

 

Mi rimane solo da imparare una cosa: se da un lato la tecnologia e la flessibilità mi hanno dato, e sempre più mi danno, la possibilità di lavorare in luoghi e orari non prestabiliti, potendo così gestire lavoro e famiglia, dall’altro lato diventa sempre più difficile trovare quel giusto compromesso tra l’essere disponibili sempre e per tutti e un sano egoismo che ci preservi dal divenire una specie di trottola vagante tra mille impegni.

In altre parole, devo ancora trovare una risposta alla domanda posta a conclusione del già citato Quaderno (2) “Lo smart working riesce a soddisfare le esigenze dei datori di lavoro, di contenere i costi e aumentare la

produttività e, allo stesso tempo, i bisogni dei lavoratori, di conciliare vita personale e lavorativa?

Essere sempre raggiungibili e disponibili può accrescere, anziché ridurre, il conflitto tra lavoro e famiglia,

ridefinendo – fino a farlo scomparire – il confine tra occupazione e vita privata?”

 

 

Riferimenti

Lavoro Femminile, gender gap e strumenti di work-life balance a cura del Centro Studi e Ricerche Previdenziali ed. Itinerari Previdenziali https://www.itinerariprevidenziali.it/site/home/biblioteca/pubblicazioni/lavoro-femminile-gender-gap-e-strumenti-di-work-life-balance.html

Lavoro e lavoratori/trici “smart” a cura di Franca Maino ed. Fondazione Marco Vigorelli https://www.marcovigorelli.org/quaderni-fmv-corporate-family-responsibility/